In Italia chi è più povero di capacità e risorse è più esposto a fattori di rischio per la salute, si ammala più spesso, in modo più grave e muore prima. Le disuguaglianze in salute dipendono da fattori individuali (livello di istruzione, occupazione, qualità del lavoro, risorse materiali e di status) e dal contesto areale (accessibilità ai servizi, densità, ambiente salubre), e sottintendono tutti gli aspetti intersezionali del fenomeno (genere, migrazioni, abilità o di generazione). La salute diseguale genera degli alti costi per l’assistenza sanitaria e i sistemi di sicurezza sanitaria, ma può essere anche una metrica utile per definire l’innovazione della sanità territoriale.
Giuseppe Costa, epidemiologo dell’Università di Torino e del Servizio di Epidemiologia ASL TO3 del Piemonte, ha elaborato un modello, l’”Health Equity Audit”, che permette di valutare le diverse scelte politiche, integrando i dati socio-economici urbani con i processi decisionali degli stakeholder locali.
L’Health Equity Audit parte dall’assunto che bisogna indossare le “lenti dell’equità”, comprendere quali sono le cause delle disuguaglianze e le azioni prioritarie e innescare un ciclo di audit con i principali decisori politici per guidare un piano partecipato di riduzione delle disuguaglianze di salute evitabili.
È quello che è avvenuto a Torino, dove dall’analisi dei casi di diabete si evidenziava che il numero di persone affette dalla malattia diminuiva in base al grado elevato di istruzione: nei quartieri più poveri erano 8 su 100, mentre in quelli più ricchi 4 su 100. L’analisi si è estesa anche ad altre patologie, evidenziando come la geografia fosse sempre la stessa.
Si è iniziato dal 2018 a fare un processo di co-investigazione delle disuguaglianze di salute sia a livello urbano sia di quartiere e di scrutinamento sistematico delle variazioni geografiche e sociali in determinati bisogni, accessi, esiti. Nel caso del diabete le disuguaglianze emergevano più nel come ci si ammalava che in come si curava la malattia.
Insieme ad alcuni stakeholders più autorevoli, si sono stabilite delle azioni prioritarie e di concentrare le risorse su una circoscrizione più deprivata della città, Le Vallette, dove mettere a frutto l’integrazione tra le politiche ed interventi che sono stati valutati più efficaci per la riduzione delle disuguaglianze di salute.
Nel mettere in campo le strategie, si è creata una comunità che ha condiviso gli obiettivi: diabetologi, medici di famiglia, farmacisti e infermieri di comunità, ma anche la bocciofila locale che ha intercettato i soggetti ad alto rischio, la Coop che ha reso più sani i prodotti distribuiti negli avanzi della giornata, le scuole, e tanti altri stakeholder. Stimolando la ricerca dei meccanismi che sono in capo a responsabilità multisettoriali e multilivello, si va creare capitale sociale, che a sua volta può diventare oggetto di una metrica di empowerment dove si va a misurare la rete, la capacità di integrazione e il potere aggregativo dei luoghi.
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